La prima cosa a cui ho pensato per questo nostro incontro è stata banalmente: “ma quanto è grosso un muro?!?” Sì, perché operare su di una superficie che agli occhi miei, semplicissima osservatrice del lavoro di questi ragazzi, è immensa mi imbarazza e mi incuriosisce non poco. Un muro è per mille motivi immenso. Lo è perché di misure considerevoli a volte e anche perché si tiene addosso, magari, la responsabilità di un luogo, lo sporco di una città, le erbacce cresciute male, i pregiudizi di chi “non vuole”, i buchi di una calce che con il tempo s’è ribellata e le tane di chissà quante formiche che là ci abitano da sempre.
Guardo fuori dalla finestra ed è febbraio. Un febbraio freddo e stanco anche lui di esserlo e c’è la sera di una città che si prepara alla notte. La nostra città, quella che da sempre ci cresce e che adesso si fa ancora una volta zitta zitta complice, sembra sempre che ti guardi in attesa. Lei che forse sa di quante menti vive e capaci di immaginare mondi, la calpestano. Sì, stasera voglio pensarla così questa mia città… a nutrirsi di arte senza che nessuno lo sappia oltre noi.
Squilla il telefono… è Esta che viene a prendermi, avevamo appuntamento alle 21.15. In macchina c’è lui e Smoke13, loro la conoscono sampietrino su sampietrino questa città e io già mi sento nella loro crew. Dopo un caffè e qualche scemenza sulle nostre vite personali da fuori ci ritroviamo dentro. Il nostro dentro è una stanza, piacevolmente arredata e che gentilmente ci ospita. Ci sono io, D. che è la padrona di casa (vittima consapevole delle mie invasioni), Esta e Smoke13.
Insieme loro hanno scelto di essere: TGSCREW
La sempre tanto accogliente D. ci prepara un caffè e noi “a modo nostro” iniziamo…
Come posso non chiedervi immediatamente: quanto è grosso un muro?
Smoke13: Chiedilo al secchio della tinta che è sempre vuoto!!
Esta: …ma quant’è piccolo un rullo?
…ridiamo e già loro partono di invettive, io non so interromperli e capisco che questo incontro sarà così: in estemporaneo divenire…
S: …dice così perché prima invece che usare il rullo usavamo la pennellessa. ‘na sgobbata proprio!
Il tessuto urbano che a volte sembra, anche se sempre lo calpestiamo, qualcosa di assolutamente estraneo quanto vi immerge nella vostra arte?
E: Per me il tessuto urbano siamo noi. Nasce con noi, intendo come subculture di movimenti di strada, noi che lo popoliamo…
S: …invece per me il tessuto urbano è la mia felpa sporca. Quella che metto e vado a disegnare, che puzza! Perché tutto quello che riguarda il tessuto urbano, alla fine, puzza! I jeans sporchi di vernice, duri…
…il riferimento alla puzza è qualcosa da intendere negativamente o è un feticismo sano?
E: E’ un feticismo sano. Considera che i vestiti che scegliamo ogni volta per andare a dipingere sono volutamente sempre gli stessi. Diventa un rito.
S: Sì è vero, sono sempre gli stessi. Dove vai vai assorbi un odore, che diventa il tuo.
E: …pensa che sotto il letto della mia camera, sono pieno di scarpe che non metto più e che lascio lì perché tanto prima o poi, mi dico, le userò per dipingere.
E’ quando vedete strade, posti, spazi, muri che inizia il vostro processo creativo?
E: Per noi c’è sempre un meccanismo continuo di immaginazione. Girando non vedi mai quello che vedi, ci vedi sempre quello che secondo te ci starebbe bene. Ti fomenti alla vista di qualcosa, di qualsiasi cosa!
…io non faccio che scrivere, letteralmente “invalangata” dal loro parlare e fumo. No, proprio non posso confinarli…S: Ogni spazio è diverso da un altro. Quando vedi il contesto che ospita uno spazio tu ci giri intorno e le parti stesse di un edificio, una ringhiera o un vetro rotto, qualsiasi cosa lo caratterizzi diventa parte stessa del disegno che lì già stai immaginando.
E: …nella murata su alice, per esempio, c’era una struttura metallica, credo fosse l’intelaiatura che reggeva il tetto, ed era proprio sul muro… inizialmente non sapevamo come fare, poi invece quella stessa cosa ci ha fatto venire in mente l’idea giusta per quel progetto!
S: Era dell’edificio, noi solo l’abbiamo integrata.
E: Tra me e lui, quando progettiamo una murata, sono principalmente io a preparare tutto, ma questo per il mio lavoro… io sono un grafico e ci tengo proprio che tutto abbia un susseguirsi e sia perfettamente ordinato nel senso, nella forma e nel colore. Il muro io lo immagino come una grossa cosa da impaginare. Quando fai una murata e lavori in più persone ti devi confrontare con due stili differenti. Smoke13 ora fa soprattutto ritratti, quindi se non fai attenzione rischi di creare una cosa che non è armoniosa.
S: Ce l’hai la foto della murata della mongolfiera Isai’?
…Esta cerca nel suo telefono la foto della murata di cui vogliono parlarmi, io non sento più le dita per quanto scrivo…
E: …ecco, per dirti… l’idea della murata della mongolfiera in cui la bimba guarda il cielo è stato difficile “sistemarla”. Lui pensa al ritratto e io poi devo ammazzarmi di fatica…
S: …sì certo, come no? E io sgobbo!! Ho stuccato pure i muri, io m’ammazzo di fatica! Lui progetta, capito?!? …e guido pure l’autobus poi, alzandomi alle 3.00!
…sono complici questi due, come ne ho incontrati pochi altri nella vita. La complicità che solo i sogni sanno dare…
E: …insomma, questa bimba andava sistemata! Lui mette il ritratto e deve esserci poi la prospettiva, devi farcela stare e non deve mai disturbare.
Ecco, quello che avete appena descritto. Il senso dello stare insieme e dunque, entrando pienamente nel vostro mondo, cos’è una crew?
S: Isai’ andiamo a dipinge’!?!
…ridiamo tutti ed è bellissimo. Poi Esta, che è il più concettuale dei due ricomincia a parlare…
E: …quando dipingi e lo fai nel nostro mondo, ti identifichi come gruppo. Prima c’erano altri insieme a noi; ora siamo io e lui… Cioè, nel mondo dei writers si creano gruppi di persone, che insieme dipingono. Noi ormai siamo adulti, lontani dal senso con cui avevamo messo insieme una crew, ora significa solo l’amicizia.
La nostra crew è la nostra amicizia.
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